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La Cristologia del Sacro Cuore di Papa Benedetto XVI

Aug 04, 2023

di Mary Biese 29 agosto 2023

Il defunto Papa Benedetto XVI, nella prima parte del suo libro Ecco il Trafitto, difende la devozione al Sacro Cuore principalmente attingendo alla Haurietis Aquas di Pio XII e ai Vangeli per mostrarne i precedenti nella Tradizione e nella Scrittura. In Gesù di Nazareth, Spirito della Liturgia, e nelle sue riflessioni sull'Eucaristia, Benedetto espone la sua “Cristologia spirituale”, in cui il Sacro Cuore funge da immagine cruciale, perché “nel Cuore di Gesù, il centro del cristianesimo ci viene posto davanti”[1]. Dopo aver esaminato la “teologia del cuore” di Benedetto e la sua attenzione al Vangelo di Giovanni, questo saggio esplorerà “specialmente quelle opere che manifestano più chiaramente il Suo amore [di Cristo] per noi – come la istituzione divina dell'Eucaristia, le sue amarissime sofferenze e la morte. . . e, infine, l'invio dello Spirito Santo sugli Apostoli e su di noi” (HA §59). Seguirà poi un approfondimento sulla teologia delle immagini di Benedetto e la sua riflessione sull'episodio del dubbioso, anzi del credente, di Tommaso.

La devozione al Sacro Cuore soffre due attacchi principali, da eccessi nel movimento liturgico e da eccessi in un intellettualismo di epoca illuministica, che sostiene che la devozione è troppo emotivista, sentimentale e sensoriale. Il primo sostiene che questa “pietà emotiva” debba essere “subordinata” alla più “oggettiva” liturgia latina.[2] In risposta, la Haurietis Aquas di Pio XII, come scrive Benedetto, «si preoccupava di superare il pericoloso dualismo tra spiritualità liturgica e devozione ottocentesca, per lasciare che l'una stimolasse l'altra. . . senza semplicemente dissolvere l’una nell’altra.”[3] Dare priorità alla liturgia, sostiene, non dovrebbe andare a scapito di devozioni sane, poiché “la liturgia stessa può essere celebrata adeguatamente solo se è preparata e accompagnata da, quel “dimorare” meditativo in cui il cuore comincia a vedere e a comprendere, coinvolgendo anche i sensi nella sua visione. Perché “non puoi vedere bene che con il cuore”»[4].

Ma cos’è esattamente questo “dimorare meditativo”, questo vedere e comprendere, questo “guardare con il cuore”? Cos'è il cuore? Nella tradizione biblica e patristica, il cuore è il nucleo del proprio essere, un nucleo non separato dall'intero “sé” ma che serve invece come luogo unificante.[5] Benedetto riassume la sua teologia del cuore in Gesù di Nazareth: è «l'organo per vedere Dio» e un modo di parlare della persona pienamente integrata.[6] Secondo questo schema, il cuore è “la totalità dell’uomo” e la sua “totalità”, piuttosto che essere “semplicemente” la sede dei sensi e delle emozioni. Con questa comprensione olistica del cuore, i sensi e le passioni non sono una distorsione dell'uomo, ma piuttosto una delle sue dimensioni cruciali. Perciò, scrive Benedetto: «I sensi non sono da scartare, ma . . . dovrebbero essere ampliati fino alla loro massima capacità. Vediamo Cristo giustamente solo quando diciamo con Tommaso: 'Mio Signore e mio Dio!'”[7] Vedere bene Dio è orientare tutto il proprio essere verso di Lui.

Prendendo spunto dal lavoro di Hugo Rahner e Haurietis Aquas, Benedetto riassume brevemente la teologia patristica del cuore in Ecco il trafitto.[8] I Padri, soprattutto Origene e Agostino, sostengono la devozione attraverso la loro “teologia e filosofia del cuore”[9]. In continuità con l'immagine biblica del cuore amante e misericordioso di Dio (cfr Osea 11), «la nuova sintesi [patristica]» dell'Antico e del Nuovo Testamento, scrive Benedetto, pone fermamente il cuore come «luogo dell'incontro salvifico con il Logos .”[10] L'“immagine del Trafitto”[11] del Vangelo di Giovanni, ripresa da Zaccaria, si realizza nel “Cuore trafitto del Figlio crocifisso”. . . che rovescia la sua giustizia mediante la misericordia e mediante quella stessa azione rimane giusto».[12] Questa linea di pensiero continua nell'attenzione dei mistici medievali[13] sul Cantico dei Cantici «come espressione del tema dell'amore di Dio per la Chiesa e per il Signore». dell'anima e anche quello della risposta dell'uomo» e l'uso del suo linguaggio «per integrare tutta la passione dell'amore umano nella relazione dell'uomo con Dio».[14] Anche qui vediamo l'integrazione delle passioni nella relazione e una svolta dell'uomo. a Dio, che si riversa per noi con incoscienza nella sua Incarnazione e Morte, generando la Chiesa con il sangue e l'acqua che sgorgano dal suo costato. Mentre per gli stoici “il compito del cuore [era] l’autoconservazione”, scrive Benedetto, “il Cuore trafitto di Gesù... . . non riguarda l’autoconservazione ma l’abbandono di sé. Salva il mondo aprendosi».[15]